democrazia

il Principe e la Costituzione


parte 3

Come mi fa tremare questo urlato cambiamento. Qui in Italia il cambiamento è una parola strana che forse si pronuncia inconsapevolmente, dimenticando quanta ambiguità essa celi. O forse confidando nell’Italico carattere.

Cambiamento è la parola che il principe di Salina pronuncia quando la Sicilia cade in mano ai garibaldini. Chi di noi non ricorda quando dice “Bisogna che tutto cambi affinché tutto rimanga come prima”!

Italiani!

La storia della Repubblica dalla sua nascita è scandita da una serie di scandali noti e meno noti: “dallo scandalo dell’Ingic a quello di Fiumicino, dallo scandalo delle banane a quello dell’Anas, dallo sandalo dei Crec dei Caltagirone alla faccenda  dell’Italcasse, dal primo al secondo scandalo dei petrolieri a quello dei fondi neri della Montedison, dallo scandalo Lockheed all’affare Sindona e al Caso Calvi, dallo scandalo dello Ior al bubbone dei mille affari sporchi che giravano intorno alla P2” (Scarpinato-Lodato, 129). Povera Italia!

Riguardo ad essi la classe politica si è sempre mantenuta omertosa attraverso la “sistematica negazione da parte del ceto politico delle autorizzazioni a procedere avanzate nel corso degli anni dalla magistratura, o mediante provvidenziali avocazioni e conflitti di competenza” (Scarpinato-Lodato, 129).

C’è una forza che opera in questo Paese e che possiamo chiamare Principe.  Il Principe rappresenta un antico modo, tutto italico, di risolvere le controversie e governare con la forza, l’intrigo, l’omicidio, la vessazione.

La legalità in Italia deve fare i conti col Principe.

Il Principe o della fragilità della nostra legalità

La sua forza viene da lontano  e affonda le radici nella storia italiana (Scarpinato-Lodato, p. 102). In alcune fasi storiche è stata costretta ad arretrare, in altre diventa soverchiante le fragili forze della legalità.

La fragilità della nostra legalità risiede nella nostra specificità: esser passati dalla pre-modernità alla post-modernità, rimanendo impermeabili alla modernità. Una modernità sancita storicamente da alcune fasi storiche di cui la prima è la “Riforma protestante”.

La Riforma protestante non ebbe in Italia  alcun esito se non la reazione controriformista la quale avviò un processo di radicalizzazione di tutti gli aspetti negativi dell’italico carattere: l’acritica sottomissione alle gerarchie, l’attesa di una verità spiegata da qualcuno che la gestisce come un mistero sacro; la ricerca di un capo che guida il popolo; e, soprattutto, l’esacerbazione di un’emotività parossistica, superstiziosa, di un’immaginazione suggestionabile credulona con una passione per l’irrazionale e il miracoloso.

L’Illuminismo e la Rivoluzione industriale, e la grande stagione liberalista sono le altre fasi storiche della modernità. In esse l’affermazione dei diritti inalienabili dell’uomo, che così diventa cittadino entrando a fa parte di una comunità, sancisce la nascita dello Stato di diritto e la cancellazione, almeno formale, di un’ineguaglianza davanti alla legge (si pensi all’Habeas corpus act). Ma è soprattutto il riconoscimento, accanto alla superiorità della legge, della subordinazione dei governanti ad essa la grande conquista dell’Illuminismo e del liberalismo.

Come dice Arendt, la Rivoluzione americana ebbe successo fondamentalmente perché era chiaro a tutti quegli uomini che la fecero la differenza che esiste tra il potere politico e la fonte del potere. Ecco, questa distinzione qui da noi non è mai stata chiara, non è mai stata assodata. Piuttosto, non avendo mai riconosciuto l’autorità delle sacre scritture e tutto il carico di libertà autonomia di pensiero che esso comporti, qui non ci sono sacre leggi e la fonte del potere non risiede in principi superiori rispetto a quei singoli che governano.

Se nel corso di queste tappe sono state poste le basi per la costruzione dello Stato democratico di diritto, ebbene questa fase qui in Italia è stata a pie pari saltata ad opera di forze retrive e violente che ne hanno bloccato il cammino. “Pare che questo Paese sia stato salvato solo dalle sue minoranze” sospira Scarpinato,  giacobine, carbonare, mazziniane, cavouriane, mentre il resto del Paese è tutto violenza e Gattopardi: la violenza e l’arbitrio dei Don Rodrigo, l’etica dell’obbedienza che si trasforma in criterio di selezione, “la logica padrone-suddito” che al posto della cultura dei diritti e del diritto “afferma quella dell’elemosina e del favore” (Scarpinato-Lodato, 63). “Il rapporto padroni sudditi come la pietra angolare dei rapporti sociali” (Scarpinato-Lodato, 63). Siamo una società di padrini, padroni, sudditi, con piccole borghesie e corporazioni artigiane al loro servizio in cui il significato della cittadinanza è tutt’ora semplicemente incomprensibile.

In una società in cui non esiste lo stato di diritto la violenza e l’arbitrio regolano i conflitti mentre l’abitudine all’obbedienza acritica al potente, il servilismo, l’identificazione dell’ordine esistente con quello naturale e divino e la rassegnazione fatalistica vengono percepite come una necessità.

IL VALORE DELLA COSTITUZIONE e il

significato più profondo dell’anti-fascismo

Poste queste premesso storiche, la deriva autoritaria o personalistica sembra parte integrante del DNA delle nostre istituzioni.  Non è estrinseco, infatti, che la nostra Costituzione sia fondata sull’antifascismo. Che cos’è, infatti, l’antifascismo se non l’anti anti-modernità? L’antifascismo si pone così come il tentativo dei nostri padri Costituenti di superare l’antimodernismo del nostro Paese per progettare una nuova fase legalitaria o forse La fase legalitaria della nostra Repubblica.

Ecco cosa scrive a questo proposito Scarpinato: “La normalità fascista si interrompe a causa dell’intervento di un eccezionale fattore extrasistemico che consente di aprire una parentesi nella storia nazionale: quella che porta all’emanazione della Costituzione del 1948, altra creatura artificiale di ristrette élite culturali, destinata dunque ad essere riassorbita nel tempo dalla normalità nazionale” ((Scarpinato-Lodato, 76).

“Quella Costituzione ci ha salvati in passato e continua a salvarci tutt’oggi nei momenti più critici. Fino a quando resterà in vita sarà sempre possibile porre un freno alla degenerazione dello Stato democratico di diritto” (Scarpinato-Lodato, 76)

Non che non ci siano norme da modificare nella seconda parte del testo costituzionale. Tuttavia modificando la parte organizzativa della Costituzione si correrebbe il rischio di svuotare surrettiziamente anche la prima parte, quella sui diritti fondamentali. E svuotare la parte dei diritti fondamentali significa distruggere l’unico baluardo in grado di contrastare la violenza del Principe.

Dovremmo tremare al pensiero di questa Riforma del senato e di come stia per esser varata in barba a quel principio di unanimità che aveva animato i padri costituenti uniti da quella grande stagione della Resistenza e dei CLN. La Nostra Costituzione è proprio o era proprio un altrove  politico  in cui “un’avanguardia culturale si trasforma in maggioranza politica” ((Scarpinato-Lodato, 77), un altrove  da dove Renzi dovrebbe partire per realizzare il suo cambiamento,  affinché sia non un cambiamento alla “Principe Salina”.

“Ciò che fa la grandezza dell’opera dei costituenti – infatti – fu che essi, pur discordi nelle ideologie, erano d’accordo nel desiderare un sistema di libertà autentico e valido”.  Essi guardarono “ai problemi dell’organizzazione dello Stato con l’animo di uomini dell’opposizione, non ancora con l’animo di uomini di potere, essendo quello un momento della storia in cui nessuno poteva prevedere chi, nella successiva evoluzione politica avrebbe preso il potere”. “La nostra Costituzione superò noi stessi  e la nostra storia, fu un gettare il cuore oltre l’ostacolo, indicando un modello da raggiungere: la costruzione di uno Stato democratico di diritto che superava le possibilità etiche delle culture autoctone delle classi dirigenti e delle masse” (Scarpinato-Lodato,  77)

le prigioni invisibili


“Il ritorno del principe”,

procuratore aggiunto della Procura antimafia di Palermo

procuratore aggiunto della Procura antimafia di Palermo

di Scarpinato-Lodato, edito da Chiarelettere nel 2008, è uno straordinario saggio, in forma di intervista, di un magistrato ed un giornalista.

Lo indico solitamente come lettura estiva a tutti i miei studenti, benché abbia deciso di integrarlo a pieno titolo come testo nel 5° anno di corso.

Le analisi dell’italico carattere ricordano un alto grande saggio, “Gli Italiani” di L. Barzini; l’arco di tempo che percorre arriva fino al 2007. L’oggetto di discussione è la violenza del potere, chiave di comprensione della storia italiana.

In alcuni casi vaticinante, la sensazione che si ha è di esser prigionieri di una ignominiosa distorsione dei fatti di cui si macchia la classe politica e la stampa e gli intellettuali del potere in nome di una “ragion politica” e di una “ragion di stato” che nasconde, piuttosto, interessi personali, familistici, lobbistici di potere e ricchezza personale.

Potere Intellettuali e società

Nell’antica Grecia, per decifrare i misteri del presente e antivedere il futuro, ci si rivolgeva agli oracoli. I più famosi, come Tiresia, erano ciechi. “Pare che la saggezza greca risiedesse proprio nella consapevolezza che “noi non vediamo con gli occhi ma attraverso gli occhi“. “L’occhio [sarebbe]  un foro attraverso il quale qualcuno guarda. Quel qualcuno è la nostra mente.” il che vuol dire che vediamo solo ciò che gli occhi della nostra mente ci consentono di vedere.” (p.15) E spesso quanto la nostra intelligenza può vedere, il nostro cuore – o il nostro stomaco – non ci fanno vedere.

“Tutti noi siamo ciechi dinnanzi a uno dei fenomeni più importanti delle nostre vite: il reale funzionamento della macchina del potere e, quindi, dei suoi segreti. Si tratta di una cecità indotta dallo stesso potere al fine di perpetuarsi”.(p. 16)

S. Mill aveva indicato come (On Liberty) individuo dovrebbe tutelare la propria libertà di pensiero. Questa libertà è infatti quella, tra le libertà civili, la più difficile da realizzare oltre ad essere la più importante da tutelare sia per la vita dell’individuo che per la salute della città.

Di questa libertà di pensiero e di quanto qui in Italia essa sia, per innumerevoli ragioni – storico culturali, familiari e sociali -, compromessa si può facilmente provare se ci si sofferma sul rapporto che esiste tra potere, intellettuali e società.

Il declino italiano sembrerebbe proprio da ricondurre a “pregiudizi, superstizioni, dogmi, leggende di cui è infarcito gran parte del sapere comune. Pregiudizi e leggende [che] fanno parte essenziale della storia del potere e quindi anche delle sue manifestazione criminali”

A suffragio di questa tesi gli autori citano il , reggente nella Francia del 1600 durante, e dopo, la minorità del futuro Luigi XIV, in uno dei periodi più turbolenti per l’istituto della monarchia, le fronde:

“il trono si conquista con le spade e i cannoni, ma si conserva con i dogmi e le superstizioni”

(Mazzarino)

“non bisogna coltivare la ragione del popolo ma i suoi sentimenti: occorre dunque dirgerlo e formare il suo cuore non la sua ragione. esso deve essere tenuto nel suo stato naturale di debolezza: leggere e scrivere non conviene alla felicità fisica e morale del popolo, anzi non corrisponde nemmeno al suo interesse.”

(De Maistre)

Le prigioni invisibili

Il sapere sociale non è mai innocente!

Secondo L. Althussser gli AIS (Apparati ideologici di stato) sono prigioni invisibili che rendono gli uomini ciechi di fronte al potere e di cui sono colpevoli gli intellettuali (p. 17).

Il potere quindi per esercitarsi in maniera efficace e invisibile si diffonde capillarmente in tutti i piani della vita di ogni cittadino: l’organizzazione della Stato, i rapporti economici, i conflitti politici, la religione la cultura l’educazione […]i rapporti di forza pubblici e privati tra potenti e impotenti.

Quindi se tu non ti occupi del potere, il potere e le sue imposture si occupano comunque di te!

Come dire, siate rivoluzionari in un senso innanzitutto copernicano: capovolgete le gerarchie, spostate l’ordine delle cose così come esse appaiono ai vostri occhi, andate al di là di ciò che sembra e, prima di tutto, al di là di quella pigrizia che a volte l’idea dell’impotenza vi dà, trasformandovi  in indifferenti.

 

Roberto Scarpinato

Marco travaglio recensisce "il ritorno del principe"